Posted on mercoledì 24 agosto 2011
Anche l’estate 2011, la bella stagione ideale per i cantieri, se ne sta andando mestamente. La ricostruzione vera, quella del centro storico e delle case “E”, non è partita. Ventinove mesi dopo il sisma questi sono i fatti e questa è la realtà. Gli aquilani sono rassegnati, angosciati, arrabbiati. Il terremoto diventa ogni giorno di più il terreno di scontro di una politica di basso profilo che ha perso la bussola del bene collettivo, e mentre il tempo passa tutto è diventato opaco, contorto, controverso. Evidenti sono le responsabilità del Sindaco, che continua nei soliti gesti teatrali a fini politici. Ma pure evidenti le responsabilità di una nuova “burocrazia della ricostruzione” che parrebbe avere tutto l’interesse ad allungare i tempi, poiché trova nella gestione del post-terremoto l’unica legittimazione per la propria sopravvivenza e la fonte di un’inattesa prosperità. La ricostruzione è così diventata una palude melmosa, dove i cittadini si aggirano senza concludere nulla tra ordinanze contorte, burocrati irresponsabili, strutture commissariali inefficaci, corporazioni professionali organizzate, polemiche distruttive tra i troppi livelli istituzionali coinvolti. Ogni giorno si accendono inutili polemiche, e il cittadino non comprende se il problema siano davvero i Commissari o la genetica incapacità del Comune ad amministrare le complessità del post-terremoto, o tutte e due le cose.
La governance della ricostruzione va radicalmente ripensata, stride tra l’altro con la riforma federale dello Stato, in corso di attuazione. E’ venuto il momento di superare il commissariamento e dare piena responsabilità – in termini di assegnazione di risorse, autorità decisionale e relativi poteri – ai livelli locali di governo (Comuni, Provincia, Regione) nel rispetto dei principi del federalismo e della sussidiarietà, oltre che del semplice buon senso. Il sottosegretario Letta ed il prefetto Gabrielli potranno poi assicurare, in un quadro di governance locale che superi la gestione commissariale, i necessari raccordi con il Governo.
Ma parlare di governance è un “tabù”. Le attuali regole non funzionano, è sotto gli occhi di tutti, ma nessuno fa niente per cambiarle. La ricostruzione si è avvitata in un circolo vizioso, in un consumo di tempo a beneficio di una miriade di “professionisti”, in uno scaricabarile indegno, dove l’aria si è fatta mefitica e sale la tensione e cresce l’ansia degli aquilani, né si assiste a concrete misure per frenare l’ingordigia di pochi che sta danneggiando tutti.
Eppure, a leggere gli atti, parrebbe che le risorse siano disponibili e che il quadro normativo sia pronto, sia per la ricostruzione pesante, sia per l’utilizzo di ingenti risorse per opere pubbliche già stanziate ma non utilizzate. Ma la ricostruzione non parte, perché i cacadubbi tecnici e gli sfasciacarrozze politici sono sempre all’opera.
Trascorsi ormai ventinove mesi non è più tollerabile il gioco a riampiattino ed il continuo rinvio a successivi approfondimenti. Qualcuno all’Aquila sta giocando con il fuoco. Finirà per scottarsi, ma pure la città diruta rischia di pagare un prezzo altissimo. Se il centro resta morto, L’Aquila si trasformerà in una anonima cittadina di provincia, senza alcun ruolo strategico di località centrale, in mezzo ad un’offerta indifferenziata. La ricostruzione può ancora diventare il modello per un nuovo tipo di centro storico del 21° secolo, purché lo si voglia. La questione è sempre la stessa, perché nulla si muove: volevamo il modello Friuli e ci avviamo invece sulla strada del modello Belice. Il tempo è fugace: interessi corporativi e burocrazia opprimente concluderanno il lavoro iniziato dal terremoto. Che tristezza.
Piero Carducci