Posted on lunedì 29 agosto 2011
Sono imprese fatte da cinesi, russi, romeni, albanesi, ecc. Soprattutto da cinesi. La crisi non la sentono proprio. Si moltiplicano come funghi in tutta Italia. Lavorano quai sempre senza essere conosciuti al fisco. Non conoscono ferie, sicurezza sul lavoro, giorni di malattia. Non versano, eccezioni a parte, i contributi. Alla fine dello scorso anno solo i cinesi hanno superato la soglia delle 54mila imprese, scrive un report della Cgia di Mestre. Un dato sottostimato per difetto. Rispetto al 2009, la crescita è stata dell’8,5%, mentre le imprese italiane, sempre in questo ultimo anno di dura crisi economica, sono diminuite dello 0,4%. Le aziende italiane guidate da imprenditori cinesi stanno crescendo in maniera esponenziale: tra il 2002 e il 2010 la loro presenza nella nostra penisola è cresciuta del 150,7%. «Pur riconoscendo che gli imprenditori cinesi hanno alle spalle una storia millenaria di successo – dice Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia – la loro forte concentrazione in alcune aree del Paese sta creando non pochi problemi. Spesso queste attività si sviluppano eludendo gli obblighi fiscali e contributivi, le norme in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e senza nessun rispetto dei più elementari diritti dei lavoratori occupati in queste realtà aziendali. Questa forma di dumping economico ha messo fuori mercato intere filiere produttive e commerciali di casa nostra». Il maggior numero di imprenditori cinesi si trova in Lombardia (10.998), Toscana (10.503) e Veneto (6.343). Ma la crescita è stata omogenea ed è evidente anche in altre parti del Paese. La presenza cinese, infatti, è aumentata su tutto il territorio nazionale dell’ 8,5%. Altro dato interessante riguarda l’incidenza degli imprenditori cinesi sul totale dell’imprenditoria straniera presente in Italia. Questo indicatore si attesta intorno al 10%. Dopo i ristoranti e le lavanderie, i cinesi stanno conquistando pelletteria, calzature, abbigliamento e alberghi.